2008
La Zona Limite
Quel minimo passaggio che dalla tela grezza, appagata nel bianco, slitta nella materia pittorica. Un baratro ipersensibile che getta nella pulsazione della materia. Il discrimine. Il fare pittura inteso nel suo limite. Daniele approssima la forma del tondo, costretto in un quadrato di tela che lo limita per far dire tutto solo alla pittura, senza riferimento, senza letteratura, come testimonia il suo tracciato pittorico. Naturaliter. L’attimo di magia che precipita nel sentire il colore, lo strato, le stesure, i colpi di spatola. Simultaneamente.
Tondi che galleggiano, irraggiano. Ti avvicini ed emanano. Vanno periplati, auscultati. Quasi sonori svelano paesaggi che già c’erano. Germinanti pulviscoli che non tradiscono la loro essenza di pura luce. Somministrata in dosaggi sapienti. Nei quadri di Daniele è sempre sottesa una lotta strenua per liberare la luce. Fino a sottrarre, scavare, graffiare.
Salvare il colore in virtù del nucleo di luce che lo fa consistere, sopravvivere. Equidistanza di chi è dentro lo specifico del dipingere: sola pittura.
Se Daniele a tratti trascende la figura è per dirne tutta la potenza, in un di più pittorico che sovrasta, incombe su tutto senza straripare. Il pittore vero è alchemico per natura. Sa dosare. Consapevole per distanza amorosa ed amorosa cura.
In questo, senza esitazione, Daniele Bianchi è pittore davvero. Come raramente si riesce ad esserlo. Senziente. Consapevole che il discorrere di pittura è tutto nel limite del farla, dell’ esserci dentro. Esclusivamente. Compenetrato. Le sue tele sono esperienza. Zone ampie, magnetiche, che avvolgono e risucchiano.
Questi ultimi lavori esposti hanno molto della perlustrazione microcosmica. Dell’entrare nella particella, nel micro dettaglio saturo di informazione per dilatarlo. Far accedere-accadere.
Vanno sentiti, guardati con sguardo attento fino a farli apparire, disvelare.
Riconducono, chissà fino a che punto inconsapevoli, agli inizi. Quei paesaggi tonali, atmosferici, da subito turneriani per affinità di timbro. Movimenti primi della sua ricerca. Ostinata, vibratile. Dinamica intesa con il pigmento che si fa colore, poi rarefà e sfida l’aria incontrando la luce. Scavo per dire questo incontro. Distolto dalla figurazione per attraversarla e ritrovarla volume. Nei corpi solidi di certe sue architetture dipinte, nei ghiacciai che affiorano da ere imprecisate, nell’inevitabile del richiamo alla natura. Così le vorticose ascese delle sue scale, i volti che colmano lo spazio reclini, ad occhi chiusi, il ciclo delle cere.
Fino a questi esiti, sempre inattesi, stupefatti nello sguardo di chi abita la visione e ci tiene a restituirla, intatta.
A condividerla.
Giovanna Dal Bon
www.danielebianchi.com