Giugno 2014
"Dipingevo una Venezia di case senza finestre, immersa in una atmosfera metafisica e scenografica". Ferruccio Bortoluzzi pittore
Nato a Venezia nel 1920 Bortoluzzi trascorre un'infanzia difficile, segnata da lutti e sofferenze. Diplomatosi all'Istituto d'Arte di Venezia, inizia la sua attività espositiva nei primi anni Quaranta, partecipando alle mostre collettive della Galleria Ongania e a quelle dell'Opera Bevilacqua La Masa.
Presa la decisione di dedicarsi alla pittura prende da subito le distanze dalla ricerca espressiva dei pittori lagunari, impegnati in una interpretazione post-impressionista del paesaggio, indirizzandosi verso un linguaggio plastico e sintetico di ascendenza post-cubista che acquista nel tempo toni cupi e atmosfere metafisiche. L'attenzione ai volumi plastici deriva anche dalla passione per la pittura di Giotto della Cappella degli Scrovegni, argomento della sua tesi di diploma all'Istituto d'Arte.
Nel settembre del 1943 tiene la sua prima personale alle Botteghe d'Arte dove presenta oltre una trentina di dipinti. La sua pittura cupa, così lontana dagli accesi e chiari cromatismi degli "impressionisti lagunari", colpisce e disorienta la critica. Tra le opere esposte si distinguono quelle che ritraggono una Venezia immersa "nelle fitte penombre d'un crepuscolo boreale. Alcune case dai muri tombali, uno specchio di rio, un ponte, è tutto; tinte monachine, un verdognolo agro, un rosso baio, un bruno, concertate con buona finezza, come un sommesso svariare di poche note basse, legate"1.
Nel 1944 Bortoluzzi ottiene dall'Opera Bevilacqua La Masa uno degli studi di Palazzo Carminati che occuperà fino al 1946.
Negli anni trascorsi a Palazzo Carminati lavora a fianco dei pittori che occupavano gli altri studi: Orazio Celeghin, Rino Villa, Oscar Cavallet, Emilio Vedova, Juti Ravenna e Emilio Stocco.
A parte Celeghin, Bortoluzzi non lega in modo particolare con nessuno degli altri artisti di Palazzo Carminati; d'altronde il suo carattere sanguigno e "anarchico in senso etimologico"2, lo ha sempre portato ad isolarsi.
Come sottolinea lo stesso artista, "quello di Palazzo Carminati fu [...] un periodo di esperimenti, di ricerche tecniche e stilistiche; dipingevo una Venezia di case senza finestre, immersa in una atmosfera metafisica e scenografica; una Venezia dai colori spenti e misteriosamente deserta. Lavoravo nel silenzio e nella solitudine, isolato e immerso nei miei problemi quotidiani"3.
In questi anni Bortoluzzi continua a rappresentare una Venezia livida e spoglia, a raffigurare desolati interni rischiarati da una luce lunare, nudi sintetici e plastici, stanze vuote animate da inquietanti manichini, barche sprofondate in una laguna immobile e paludosa, figure che deambulano afflitte con il capo chino.
Proprio quest'ultime, che rappresentano simulacri umani, spettrali e sofferenti, sono emblematiche di quell'atmosfera dolorosa e tragica che pervade gran parte delle opere di Bortoluzzi.
Nell'immediato dopoguerra è uno dei fondatori a Venezia del Centro Giovanile di Unità Proletaria della Cultura, meglio noto come L'Arco.
Questo gruppo di giovani intellettuali, all'indomani della liberazione, decide di fondare un "Centro" che offra occasioni aggregative per raccogliere "l'adesione di ragazzi provenienti dalle più disparate esperienze e dalle più squilibrate condizioni sociali, tutti uniti dal comune anelito della libertà"4.
L'impegno sociale e l'attenzione agli strati più deboli della società erano dunque uno dei punti di forza dell'attività del Centro. Lo scopo era quello di costruire una nuova società "progressista", democratica e libera, attraverso un'operazione culturale che non fosse né settaria, né elitaria. L'idea di fondo era quella di avvicinare alla "cultura" - nei diversi aspetti di musica, teatro, poesia, prosa, arti figurative - anche i ceti popolari di solito esclusi ed emarginati.
Bortoluzzi è uno dei principali animatori dell'Arco, e partecipa entusiasta all'organizzazione di mostre, concerti, spettacoli teatrali, festival di Poesia.
La breve "stagione" dell'Arco, che si conclude di fatto nell'estate del 1947, segnerà profondamente la vita dell'artista e non verrà mai dimenticata.
Dopo aver sperimentato un linguaggio pittorico vicino ad esiti astratti, nel 1948 Bortoluzzi si chiude in voluto isolamento interrompendo di fatto la sua attività espositiva che riprenderà nel dicembre del 1954 con una personale allestita alla Galleria dell'U.C.A.I. a San Vidal. Come ricorda Silvio Branzi, "s'era sul finire del '47 o al principio del '48, e per sette anni, fino al dicembre del '54, egli si richiuse nel silenzio dello studio, vietandosi ogni mostra. Sette lunghi anni di lavoro solitario, accanito, puntiglioso. Ci voleva una natura come la sua, provata da un'esistenza ognora difficile e disposta alla rinuncia e al sacrificio, per piegarsi a quel silenzio, a quella solitudine"5.
Nell'autopresentazione alla mostra del 1954 Bortoluzzi dà una spiegazione di questo suo periodo di lavoro solitario, del suo interesse per l'arte astratta e della sua decisione di ripresentarsi all'attenzione pubblica con un linguaggio figurativo: "Nel silenzio diverse esperienze sono state duramente scontate. Non posso negare di non aver guardato all'arte astratta e perfino sentito il fascino della ricerca degli spaziali. Avrei potuto inserirmi in una delle diverse tendenze anche per un fattore storico di cui non nego l'importanza; se ciò non è avvenuto è perchè credo che il mio mondo possa essere espresso solo in modo figurativo"6. Questa adesione al figurativo durerà fino alla fine degli anni Cinquanta quando l'artista deciderà di abbandonare la pittura per realizzare lavori plastici con ferro e con legno, avvicinabili all'ambito dell'informale materico. Questa ricerca, sviluppata in modo totalmente autonomo, lo isola ancor più nell'ambiente artistico veneziano poco incline a prendere in considerazione questo linguaggio espressivo.
- Giovanni Bianchi
1 L. D., [Silvio Branzi ?] Una mostra di F. Bortoluzzi, in "Gazzetta di Venezia", 21 settembre 1943.
2 Gastone Geron in Bortoluzzi. Mostra antologica 1958/75, catalogo della mostra (Venezia , Opera Bevilacqua La Masa, 25 agosto – 10 settembre 1975, Venezia [1975], s.p.
3 Ferruccio Bortoluzzi, Un ricordo di Palazzo Carminati (17 luglio 1985), in Chiara Bertola (a cura di), Ferruccio Bortolzzi, catalogo della mostra (Venezia, Fondazione Querini Stampalia, 8 aprile – 13 maggio 2001), Venezia 2001, p.82.
4 G. Geron, E i veneziani conobbero Guernica, in "Marco Polo", n. 7/8, 1985.
5 Silvio Branzi in Bortoluzzi, catalogo della mostra (Trento, galleria d'arte "L'Argentario", 16-30 aprile 1964), Tipografica Commerciale Venezia, Venezia 1964, s.p.
6 Riportata in g. [Guido] pe. [Perocco], Ferruccio Bortoluzzi espone all'U.C.A.I., in "Gazzettino – sera", 28 dicembre 1954.