Giugno 2013
Lo sguardo di Linda
Teodolinda Caorlin è una costruttrice silenziosa e paziente, capace di verità quotidiane e grandi intuizioni nel proprio agire. La realtà, sembrano dirci le sue donne simboliche, è infinitamente più drammatica e complessa di ogni immaginazione.
Il lungo percorso di questa artista – esponente della Fiber Art nota in ambito internazionale – ha assunto sempre più i connotati di una vera e propria fenomenologia dell’esperienza creativa. Linda parte dalla forma, ma non come espressione esclusivamente individuale; ciò che le interessa è piuttosto individuare una solida struttura, rigorosa enunciazione di un modo condivisibile, qualcosa che appartenga all’esistenza umana e ne tracci i confini. Accidia e Gola, Lussuria o il nodo cruciale della Paura : quasi paradigmi, questi grandi lavori di Caorlin pongono in scena un dramma autofondante, assoluto. Mnemotecnica estrema, libera da vincoli, che si nutre dei propri aspetti fabbrili.
Ancora una volta, luoghi ed immagini della coscienza si pongono come forme consuete del vivere, a cui l’artista attribuisce una valenza primaria. Di filo in filo, sul battere del telaio, fra acqua e terra: così ogni manufatto, in cui talvolta appaiono luminescenze marine, dal sapore musivo, si fissa per una propria eccezionalità (qualità sottile, non data da eventi straordinari, ma dall’evidenza del particolare). Per queste ragioni, l’opera di Linda è sostanza allestita e, allo stesso tempo, maschera di sé, spesso venata da una lieve nostalgia. Il suo fare possiede una meravigliosa qualità plastica, un assetto tridimensionale dovuto anche al sapiente utilizzo delle tecniche. È il tessuto stesso a fungere da codice: mai modalità accessoria, piuttosto funzione di un agire artistico che, da quel medium particolare (il filo e la sua lavorazione) deriva la sua stessa ragion d’essere. Ogni sperimentazione, ogni tentativo, ogni cifra stilistica riconoscibile (pensiamo all’ordito libero di molti pezzi significativi) definisce lo spazio costruttivo e lo codifica.
Tuttavia, nonostante stia perseguendo obiettivi precisi ed utilizzi gli strumenti giusti, il risultato artistico di Linda Caorlin non consiste tanto nel carpire – attraverso la tematica – il valore normativo dell’opera, quanto piuttosto nel consentirci il passaggio oltre la sua impossibile soglia. Acquista importanza, in tale processo, sia la via che l’artista percorre per raggiungere l’imago (mesi e mesi di paziente lavoro a telaio, alla ricerca della resa migliore), sia l’imago stessa. Una proprietà transitiva che tende a consolidare il punto d’appoggio fra passato e presente, fra tradizione ed innovazione. Per questo, l’arte di Linda ha un’anima storica, che non rinuncia alla figurazione, all’immaginario come filtri tra percezione e pensiero. È un’arte che fissa i ricordi, individuali e di gruppo, e – così facendo – ridona senso agli eventi; in virtù di tale contenuto (vita propria ed altrui, storia di militanza e d’indagine sociale, di canto e di lotta), dunque non solo al momento di fissare la forma al telaio, le opere di Linda divergono dalla loro realtà empirica in senso stretto. Esistono infatti, nello sguardo dell’artista, una latente collettività, un’etica intrinseca di partecipazione, a potenziare la rivelazione creativa. Animata da simili presupposti, Caorlin non cade mai nel tranello delle categorie, degli spartiacque. Preferisce, invece, partire da interrogativi precisi (e, così facendo, trova pepite d’oro…intuizioni, le chiamano).
Resta da definire, per nostra meraviglia, quel leggero vento che intuiamo nella trama, il filo illogico che talvolta spagina le convenienze e le nutre di una magica ironia. È solo un attimo, un battere di ciglia, il diamante intravisto sul fondo dello stagno. Lo sguardo di Linda.
Francesca Brandes