Gennaio 2013
Paolo Scarpa
Rivisitare gli inizi della carriera di un artista, noto o meno noto,è sempre una scoperta per certi aspetti imprevedibile non tanto perché vengono a registrare e a colmare una relativa distanza temporale nel corso della sua storia risultando di solito poco adeguatamente esplorati dalla critica quanto perché essi ci consentono soprattutto di ritrovare sia precordi di lui ancora significativi che riferimenti stilistici fecondi per poter spiegare in maniera più approfondita l’intero sviluppo della sua ricerca creativa, e per comprenderne dunque sia le fonti originarie che poi, le necessarie evoluzioni.
E ciò che si può direttamente constatare in questa occasione espositiva che per l’appunto offre una documentata ed esemplare ricostruzione di quella fase formativa di Paolo Scarpa: gli anni di studio all’Istituto d’Arte e all’Accademia, l’allunato, qui, con Bruno Saetti di cui è stato tra i migliori allievi e, in seguito, suo valido collaboratore specie nella realizzazione di importanti affreschi firmati dal maestro.
Tuttavia a quel tempo le esperienze giovanili di Scarpa si erano già volte a mutuare e rielaborare anche altre formulazioni linguistiche della cultura figurativa moderna, magari considerando in particolare il lessico dell’inventivo sintetismo segnico-cromatico di Matisse, al quale era fondamentalmente arrivato per naturale disposizione, nonché indagando successivamente la rigorosa ma non meno essenziale sintassi costruttiva di Braque, come del resto appare chiaramente evidente nelle Nature Morte della seconda metà degli anni Cinquanta alcune delle quali sono ora presenti in mostra, e dove inoltre l’adozione, tutt’altro che decorativa, di scacchiere cromatiche si richiama, benché involontariamente, ai “quadrati magici” di Klee, peraltro variamente riprese dallo stesso Saetti in tante straordinarie composizioni. Ma prima, Paolo Scarpa che aveva precocemente seguito la vocazione artistica sotto l’ascendenza della lezione del padre pittore di vaglia ed esponente tra i maggiori di quella corrente veneziana storicamente distintasi negli anni Trenta si era cimentato a dipingere grandi nudi vivacemente colorati, mostrando comunque fin da allora un interesse, se non una congeniale predilezione, per una semplificazione formale, per una figuratività icastica o meglio suggestivamente elementare. Egli veniva pertanto ad improntare la rappresentazione, fosse allora dedicata al tema del nudo o del ritratto, della natura morta o del paesaggio, in modo non solo diretto ma conciso, quasi abbreviato, secondo il principio quindi di un pensiero e di un fare pittura che sembra già includere la dizione tecnica dell’affresco, rinverdire cioè la medesima specificità operativa che non permette ripensamenti e aggiustamenti, ma che si dispiega con un’avvertita immediatezza quale rispecchiata condizione della propria assoluta libertà di ideazione e di espressione.
Alla pratica dell’affresco egli giungerà non a caso, ma per una scelta che lo doveva di fatto portare a frequentare la scuola di Saetti, imparando i metodi dello strappo e del trasporto dell’affresco su tela, ma anche affrancandosi ben presto dalla sua inevitabile influenza, come si evince osservando un’opera che rivestirà un ruolo determinante per i suoi svolgimenti, la grande Figura del ’58, virando così la sua ricerca a configurare una situazione d’ambiente, a cogliere l’insieme, donna e cose, in una serrata dinamica sia formale che emotiva. Subito dopo l’artista si avventurerà a sperimentare contenuti più simbolici, declinando ancestrali visionarietà, da cui trae immagini spaesanti, angeliche figure volanti, immensi raggianti girasoli, enigmatici volti femminili, sguardi attoniti portatori di inquietanti misteri esistenziali e di trascendenze spirituali. Una svolta radicale che però era felicemente prospettata sin dai cicli pittorici da lui eseguiti dal 1964 al ’66, appartenenti a una sua originale “maniera nera”, con i quali si chiude la fervida stagione di quegli anni, tra tensioni fantastiche e allucinatorie vivezze.
Successivamente Paolo Scarpa avvierà un percorso immaginativo di stupefacenti risoluzioni iconiche, arricchendo il carattere epifanico della sua sontuosa materia pittorica di una recondita vibrazione spaziale, sdoppiando prospettive e raccordi visivi, inventando nuove trasparenze cromatiche e leggeri sviluppi lineari, ideali “figurazioni” evocanti significati e valori, non solo dell’arte, da sempre ugualmente insostituibili.
Toni Toniato