Gennaio 2015
Ritorno a Venezia
Lorenzo Vale si è formato artisticamente a Venezia dove ha frequentato l'Accademia di Belle Arti, diplomandosi nel 1997, e dove ha poi conseguito il perfezionamento per l'insegnamento della Storia dell'Arte, presso l'Università Ca' Foscari.
Venezia, che a volte si è rivelata matrigna, è rimasta radicata nei ricordi dell'artista e ora riemerge dalla memoria, sublimata e mondata da ogni imperfezione.
Questa è la sua prima mostra personale nella città lagunare, e Vale l'ha voluta intendere come un "ritorno ideale" in un luogo che per lui è stato molto importante.
Così il dipinto più grande, che domina l'esposizione, è intitolato significativamente Ritorno a Venezia 2014 (vedi quadro).
In realtà, a ben vedere, più che un ritorno viene raffigurata una partenza ma, come è noto, non c'è ritorno senza partenza.
Venezia, evocata in lontananza, è già tornata ad essere un ricordo ed appare sullo sfondo come un bianco simulacro. La città si presenta come una sorta di moderno capriccio dove l'elemento acqueo e quello atmosferico sono totalmente banditi a favore di una resa pittorica netta e precisa, stilisticamente vicina a modelli del Realismo magico e alle sospensioni incantate e metafisiche di Giorgio de Chirico. Non è una rappresentazione reale quella che Vale raffigura, ma come può essere reale la visione generata da un ricordo?
Dalle pallide e vuote architetture della città, una sorta di quinta teatrale, in un paesaggio desertico e impeccabilmente bianco, si snoda un ordinato ed eterogeneo corteo, composto da animali, da figure umane e da oggetti, che viene incontro allo spettatore, proseguendo idealmente oltre i bordi fisici dell'opera. Il corteo fantastico è aperto da una palla multicolore che rotolando sembra aver segnato la via da percorrere e che fa da contrappunto cromatico al dominio del bianco, dando equilibrio all'intera composizione.
Ogni elemento raffigurato acquista in questo contesto una valenza simbolica a raccontarci, indirettamente, la storia dell'artista.
Così in lontananza, ma richiamata anche dalla figura femminile in primo piano, scorgiamo la silhouette di una fanciulla con il cerchio: esplicito omaggio alla pittura di Giorgio de Chirico che è stata oggetto della sua tesi di diploma conseguita all'Accademia di Belle Arti.
San Giorgio, il drago, il Cristo-portacroce sono suggestioni derivate da dipinti antichi visti a Venezia e rimarcano la mai sopita attenzione di Vale per la pittura del passato che si manifesta anche attraverso la precisione del disegno e l'uso della prospettiva, a cui si accompagna una profonda conoscenza della tecnica e del mestiere stesso della pittura.
L'occhio-cigno che versa una lacrima ci porta a considerare le metamorfiche immagini del surrealismo di Salvador Dalì, altra passione di Vale. L'occhio è quello dell'artista che ci scruta, testimone-giudice, e la lacrima versata è allusione alla struggente malinconia che assale coloro che vanno, coloro che lasciano luoghi amati, ricchi di memorie.
Due bambini che si tengono la mano sono un omaggio ai suoi figli gemelli, ma rimandano pure allo sdoppiamento proposto da Alighiero Boetti. Invece un richiamo preciso all'opera di Pino Pascali è la citazione del suo Cannone bellaciao, trainato da un bue. È questa una reminiscenza dei trionfi rinascimentali che ritroviamo anche nella zebra che trascina uno scintillante sole dorato. Scorgiamo poi un agnello mistico che porta un bastoncino zuccherato, un cavaliere con stendardo, la Tigre di Salgari, il Leone di San Marco, un vaso con fiori recisi, una civetta appollaiata immobile su di un arbusto spoglio, un daino, un elefante e altri animali.
Novello Esopo, Vale utilizza le immagini di animali, cariche di significati simbolici relativi alle virtù e alle debolezze degli uomini, per introdurci nel suo mondo personale. Siamo dunque spettatori di una allegoria della vita dell'artista che ha ripreso il suo cammino nella terraferma, in attesa di fare ritorno nella ormai lontana Venezia.
Giovanni Bianchi