Maggio 2018
Il silenzio metafisico della pittura
L'incontro con l'opera di un pittore – quando si tratta di un vero pittore – è sempre una scoperta piacevole che lascia nella memoria il senso di una singolarità ineffabile. Non è tanto quel poncif, quella formula stilistica di cui parlava Baudelaire, quanto un vero e proprio respiro del sentimento che seguita a vivere nella mente anche quando il tempo sovrappone le immagini e tende a confonderle tra loro.
Oggi che la pittura è diventata un linguaggio desueto – e sgomita dentro a un panorama artistico che ribocca dei suoi infiniti surrogati – la figura di Guerrino Salvi ritorna ad emergere in quello spazio di privilegio che s'identifica con il termine: storicizzato.
Guerrino Salvi amava il silenzio metafisico e l'ordine di un pensiero che coniuga la memoria e lo spazio della sua rappresentazione, lo testimonia: Il tempo, un dipinto del 1953 piuttosto emblematico anche nel titolo.
Ma non sarà questa la declinazione nella quale l'artista svilupperà poi la sua ricerca, al contrario, l'indagine che attraversa gli anni sessanta e settanta del suo lavoro è più mirata alla 'costruzione' di un sistema d'intrecci geometrici che dichiarano il tema della forma e le conseguenze della sua scomposizione.
In tutta l'opera di Salvi risulta evidente un certo distacco, un'aristocratica indifferenza per il 'soggetto', quasi sempre risolto in quella sua decisa eleganza stilistica che lo pone al confine indefinito tra la figurazione e l'astrazione.
A questa radice bisogna quindi rifarsi per decifrare il segno, ed è necessario riflettere su quel gesto naturale che colloca l'artista nella posizione di un romantico idealista che vede nella pittura il processo narrativo di una metamorfosi dell'umanità.
Si scorra dunque l'affascinante sequenza dei titoli: Macchinismo n.3; Tentativo di fuga; Cavaliere invisibile; Cavallo meccanico; utili a confermare l'immaginazione plastica e la compiuta relazione tra il segno e l'idea che l'artista mette in atto per un suo personale linguaggio metaforico.
Nel rigore grafico delle forme, il riscontro delle 'apparenze' è visibile soprattutto nella costruzione dei Personaggi, in quelle presenze scrupolosamente definite nelle quali si alterna uno spiraglio di figurazione alla ricerca spontanea di un codice moderno più vicino alla contemporaneità.
Il processo narrativo appare quindi filtrato dalla fantasia e sta tutto dentro a quello spazio incerto nel quale oscilla l'uomo e la natura, anche questa reinventata in quei paesaggi scarnificati che lo stesso Salvi definisce: Terra di nessuno, in quanto luogo di 'non appartenenza' o di mistificata presenza.
In questi suoi dipinti degli anni '80, nei quali l'artista sembrerebbe ammiccare ai Cretti di Burri, c'è invece la consapevolezza di uno Strappo, una lacerazione tra il paesaggio arcaico della memoria e la sua dissoluzione nell'abbandono contemporaneo.
I significati, puramente lirici, di queste sue opere non sono mai descrittivi o illustrativi, ma restano strettamente incorporati nel segno di un'arte asciuttissima ed essenziale: perfettamente consapevole del proprio tempo.
Un'arte, troppo delusa dalle circostanze per credere ancora alla sognante evocazione degli sfondi e delle rimembranze e che mira invece a descrivere la realtà, una realtà ruvida, meccanica, dove l'uomo combatte la sua battaglia quotidiana 'a lancia in resta' come un San Giorgio che cerca invano di trafiggere il drago invisibile dell'inconscio.
Stefano Cecchetto