Ottobre 2014
DELLA NATURA PRIMA
Forse oggi davanti al nuovo ciclo di dipinti di Luciana Cicogna apparirà più evidente ciò che da sempre l'ha ispirata e che costituisce anche il motivo centrale delle proprie formulazioni espressive, improntate per l'appunto su di una visione non solo poi meramente astratta e simbolica della natura e delle sue multiformi manifestazioni, dal micro al macrocosmo. Da sempre infatti la natura è stata per lei il luogo privilegiato del suo immaginario portato ad esplorare e ricreare, attraverso il linguaggio della pittura, lo stesso processo metamorfico di quella realtà vivente attorno alla quale si rispecchia ogni possibile esperienza umana e in particolare quella propria dell'arte, specie quando essa ne ricerca e ne esprime davvero i significati più profondi e della vita e del mondo. Ora, una delle caratteristiche principali della grammatica visiva di questa artista è proprio la struttura segreta che in-forma lo stesso ordine geometrico delle sue partiture cromatiche di cui ne esalta l'armoniosa articolazione tonale e spaziale in una suasiva e pervadente chiave lirica di intime risonanze sia percettive che emotive. Con rara sensibilità la Cicogna ne decanta infatti gli elementi e i ritmi formali, la metrica spaziale, offrendo in maniera affascinante immagini di ineludibile forza evocativa. La sua è una pittura che d'altronde viene da lontano, da radici delle grande decorazione bizantina e veneziana, riattivata e rivivificata, in questo caso, sul solco fecondo delle proposizioni sperimentali della nuova astrazione, ben oltre dunque le ipotesi razionaliste del neocostruttivismo e gli algidi teoremi del neominimalismo. Anzi dalle delicate e soavi trasparenze di queste superfici pittoriche - spartite in due o tre riquadri cromatici di perfetta intonazione - vi si può cogliere infatti una grazia inconfondibile come se la materia pittorica e le immagini che l'artista ci comunica fossero infine state toccate dal dono di un rispecchiante stupore o, meglio, dal medesimo stato di incantamento proveniente soltanto da pensosi sondaggi e profondi ascolti interiori. Queste essenziali tramature visive scandite in effetti per sequenze volutamente frontali, modulate poi su preziosi accordi di colore e su lievi accenti segnici, risultano pertanto strutturate sulla base soprattutto di un equilibrio costruttivo memore comunque di quelle auree proporzioni, di per sé intramontabili, della tradizione classica. E a questa tradizione si richiamava, a suo tempo, anche Giuseppe Santomaso, con le sue ben famose "Lettere al Palladio". La Cicogna ne è stata del resto allieva all'Accademia, ma oggi essa coniuga però in modo differente un lessico pure astratto o, meglio, la sua idea di astrazione – sebbene altrettanto di impronta lirica - si declina tuttavia su postulati formali alquanto diversi e linguisticamente aperti a soluzioni più nuove. Cosi ora tra quelle armoniose cadenze spaziali del colore viene addirittura ad installarsi, con elementare ma dirompente oggettività, la presenza del corpo eroso e residuale di un frammento d'albero, un legno sgretolato che raffigura nel contesto espressivo dell'artista una sorta di allusiva e tutt'altro che sacra "deposizione", e la pittura si fa o diventa, a sua volta, l'urna esposta e scoperchiata che custodisce quel "resto" – minimale reliquia simbolica della natura - trasformato eloquentemente nel soggetto principale del quadro. Non può sfuggire dunque il significato dell'attuale operazione dell'artista: un invito a riscoprire, a tornare ad amare - per salvaguardare - il mondo della natura, il che quindi significa anche di ciò che noi siamo e da dove veniamo. In ogni caso poi la Cicogna non intende e non aspira di certo a rappresentare mimeticamente delle forme naturali, la sua visione artistica è lontana perciò da tentazioni di simulazione, per cui preferisce esibire - tale e quale – questo frammento di legno o, meglio, questo "scarto" - un tempo appartenente a un albero - da lei recuperato e posto emblematicamente al centro di luminose stesure cromatiche, in una spazialità ormai senza margini o confini. E al nostro sguardo di fronte alle sue tele configge invece quel sigma, ineludibile memento mori della natura stessa, poiché la Cicogna arriva ad attribuire a tale rilievo non il significato di un frammento, per di più comune, indifferenziato, un qualsiasi pezzo di legno buttato via, bensì il valore per sé integro del tutto, di quel tutto della natura che coesiste in ogni suo frammento che la evoca, e allora si può pienamente comprendere altresì il motivo per cui ha voluto riprendere la materia dell'oro, una pratica tra l'altro che a lei tradizionalmente deriva per il mestiere nel campo della decorazione esercitato da generazioni della sua famiglia. Comunque l'artista usa l'oro in quanto simboleggia per l'appunto ancora il tutto, la totalità nella visione pittorica della luce, del pensiero della luce; luce quale oro: altro elemento allegorico ereditato per di più anche a seguito dei suoi studi mirati sulle splendide ornamentazione musive della Basilica Marciana e che del resto rientra in modo confacente e convincente nelle nuove visioni della sua astrazione poetica. Perché, infine, di questo assolutamente si tratta, cioè di un'astrazione pittorica concepita quale sostanza stessa della poesia. E come si sa la bellezza della visione appartiene a chi vuole vedere.
- Toni Toniato