SIMONE DEL PIZZOL


 

12 novembre - 17 dicembre 2011
Del Pizzol

Le opere di Simone del Pizzol sono una sottile interpretazione del presente attraverso l'allegoria, sono l'espressione di un punto di vista personale che lascia spazio all'intervento intelligibile di chi osserva l'opera: questa pluralità ermeneutica, da non confondere con la polisemia dell'arte, è la potenza poetica dell'artista che lavora su un piano strettamente individuale ma con la capacità di coinvolgere quasi “a priori” la sensibilità del fruitore dimostrando un approccio poietico di grande generosità (dote rara oggigiorno).

Quello che apparentemente si può classificare come un bestiario, in realtà, è il frutto di una ricerca profonda originata dalla studio della maschera come artefatto simbolico: ciò diventa lo stimolo per un'analisi contemporanea incarnata in uno zoomorfismo prossimo all'uomo, non tanto per una semiosi di “ascendenza classica” (per cui alla combinazione uomo/animale corrisponde un'indole caratteriale), ma per il fatto di costituire, con un linguaggio universalmente condiviso, l'emblema di una guardinga chiusura mentale dietro cui l'individuo tende a nascondersi.

Sebbene di sapore orwelliano, la opere di Del Pizzol, non giocano, quindi, sulla traslazione di uomo/animale come caratterizzazione neotenica di un homo più bestia che sapiens; l'animale, in questo caso, è l'escamotages per nascondere il diverso che in fondo ci appartiene e che quindi tanto estraneo non è: l'artista compie così una critica sociale sulle dinamiche culturali e ancor prima psicologiche dell'essere umano che teme se stesso non comprendendo la ricchezza della “ripetizione differente”.
La serie calcografica che mette in mostra il mamuthones, per esempio, vuole essere una rappresentazione della paura di ciò che non si conosce e del timore causato dalla diversità: non è un caso se una delle etimologie di maschera è “masca”, ovvero fuliggine, fantasma nero, conservando a sua volta proprio nell'uso semiotico del colore “nero” il significato di qualcosa di lontano e che procura affanno tanto che, ancor oggi, è d'uso parlare di “giornata nera” o “secoli bui”   per esprimere un giudizio negativo e connotare la privazione.

Dalla metafora del mamuthones con la sua personificazione esteticamente complessa dell'ignoto, alla trasformazione antropica in una miscellanea e disordinata genesi di sapore neo-astratto, il passo è breve ma ben compiuto dalla visione dell'artista che sulla scia creativa delle suggestioni e degli accostamenti crea un proprio linguaggio che padroneggia indistintamente con la tecnica dell'incisione e della pittura.
Così anche nella serie di lavori del ciclo “....” l'allegoria sta in una rivisitazione del graffito rupestre che diviene il motivo su cui insistere non tanto dal punto di vista formale (sebbene perfettamente integrato nell'estetica contemporanea) ma sopratutto concettuale dell'uso dell'arte: Simone del Pizzol si appropria della genesi motivazionale delle antiche pitture come rito propiziatorio alla caccia, e dunque connesse intrinsecamente alla sopravvivenza e al controllo della paura, per farne il motivo apotropaico di una società attuale in perenne conflitto.

In chiosa una sollecitazione a non trascurare l'aspetto tecnico delle opere che segnano un'ulteriore conferma delle capacità dell'artista e del percorso evolutivo ragionato fra contenuto e forma: la padronanza assoluta dell'incisione trova conferma in uno sviluppo analogo della pittura che viene sperimentata e trattata in cavo, segnata come una lastra, letteralmente scalfita dimostrandosi più che mai consona alla riedizione attuale dei graffiti rupestri.

Del Pizzol non lavora per se stesso ma osserva il circostante per farlo proprio e restituirlo con una consapevole apertura critica sempre “relativa” e aperta alla discussione.

Alice Zannoni

 



note biografiche


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